L’ornamento tra musica e arti
di Elisa Bacchi e Amalia Salvestrini
Durante le giornate 7-9 aprile 2025 si è tenuto il Laboratorio di ricerca “L’ornamento tra estetica, musica e retorica” presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, a cura di Elisa Bacchi e Amalia Salvestrini.
L’iniziativa porta alla luce alcuni nodi teorici di grandissimo interesse e si interseca con i temi di HarmoPicta, anche se ha privilegiato la trattazione di un arco temporale maggiormente rivolto alla contemporaneità. I relatori invitati hanno trattato il tema dell’ornamento sviluppando i nessi con l’improvvisazione musicale (Alessandro Bertinetto), la portata teorica dell’ornamento-cromatismo nel passaggio tra oggetto sonoro e flusso (Carlo Serra), la problematicità storica e teorica dell’ornamento dal barocco alle contemporanee società del simulacro e di nuovi tribalismi (Elio Franzini), la relazione con “la borghese ansia della fine” dal Beidermeier a Neri Oxman (Federico Vercellone).
Riportiamo quindi la nostra Introduzione al Laboratorio e alcuni contenuti delle relazioni dei relatori invitati. Le videoregistrazioni saranno presto disponibili sul canale Youtube dell’IISF e si prevede una pubblicazione delle giornate sull’ornamento ora in preparazione. Ringraziamo l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici per l’ospitalità.
Introduzione
Amalia Salvestrini. Con il ciclo di incontri all’IISF, quest’anno affrontiamo un tema particolare, l’ornamento, prendendo spunto dalla retorica classica, poiché l’ornamento compare all’interno della terza parte della retorica, la elocutio, in cui si distingue tra figure di parola e figure di pensiero. Dalla retorica la storia dell’ornamento ha preso vie differenziate, intrecciandosi con altri saperi e altre arti. In questi giorni affronteremo due campi principali: la musica e le arti visive.
L’ipotesi che muove le nostre ricerche sulla retorica – in coordinamento con Ars rhetorica – è che la retorica offra concettualità e orizzonti di pensiero capaci di scardinare teorie più statiche, potremmo dire dogmatiche, tratteggiando al contrario una forma di pensiero dinamica, aperta alle circostanze e al kairos, senza tuttavia rinunciare ad aspirazioni fondative. Il tema dell’ornamento, che tanta storia ha avuto, permette di entrare nel vivo di alcune problematicità di interesse filosofico.
Come per la retorica, anche l’ornamento si porta dietro pregiudizi o accezioni ‘negative’ da cui occorre subito prendere le distanze, o semplicemente prenderne coscienza, per chiarire quale ornamento ci sembra rilevante al fine di sollecitare una riflessione filosofica che si intrecci con la teoria della arti. In queste giornate vedremo quali sono i problemi teorici che esso solleva.
Il pregiudizio che ha segnato di più la sua storia è quello ben rappresentato dalla immagine nella locandina di questo ciclo di incontri, il particolare dei gioielli a cui rinuncia la Maddalena penitente di Caravaggio, conservata alla Galleria Doria Pamphilij di Roma. Non intendiamo soffermarci sull’ornamento come vanità del mondo, sull’ornamento come elemento accessorio simbolo della futilità mondana, contro valori spirituali più alti, o sul vacuo impreziosimento privo di contenuto. Si tratta di una idea negativa di ornamento che attraversa la storia: dallo stile asiano retorico, solo forma carica di preziosismi ma priva di contenuto, alle polemiche di Bernardo di Chiaravalle contro gli ornamenti, i preziosismi nelle chiese, vanità del mondo che distolgono dalla preghiera e dai valori spirituali, fino alle polemiche di Loos in Ornamento e delitto. Ciò che ci interessa dell’ornamento, sarà forse più vicino alle decorazioni che compaiono tra un affresco e l’altro per distinguere e fare emergere il discorso narrativo da una scena all’altra; o agli arabeschi dell’arte islamica; oppure agli abbellimenti e alle note di passaggio in musica; o ancora alle volute rovesciate nelle chiese ispirate a Leon Battista Alberti? Vedremo come tutti questi tipi di ornamento, considerati senza giudizi morali, ma nei problemi teorici che sollevano, sono degni di interesse filosofico.






L’ornamento ci interessa per una sua peculiarità, generalissima potremmo dire: la sua relazionalità dinamica che descrive altresì un appropriato rapporto con ciò che orna. L’ornamento per essere tale ha sempre bisogno di essere in relazione a qualcosa. Fin da certe traduzioni e commenti al Timeo di Platone, l’ornamento ha valore essenziale nella formazione del cosmo intero: il quinto solido regolare compare nel cosmo per ornare o decorare il tutto. Nel discorso retorico l’ornamento è quella particella che sembra avere valore accidentale ma contribuisce alla persuasività e a suscitare emozioni. È quindi una parte essenziale all’intero.
Nella teorizzazione di Leon Battista Alberti, che riprende concetti retorici e li rimodula nella sua teoria delle arti, l’ornamento si correla alla concinnitas, alla bellezza, divenendo un aspetto essenziale e quasi confuso con gli aspetti fondanti, potremmo dire strutturali e funzionali dell’edificio. Le volute rovesciate, ad esempio, aggiungono bellezza a un edificio ma al contempo sono funzionali poiché riadattano visivamente, potremmo dire prospettivamente, le misure del corpo della chiesa, dinamizzando la facciata con uno slancio verso l’alto e creando continuità in un intervallo visivo. L’ornamento è variazione, richiama una struttura dinamizzata, agisce in connessione appropriata con ciò di cui è ornamento, l’ornamento è la piega del Leibniz di Deleuze, che indica il costante incresparsi su se stesso di un mondo in una infinità di prospettive di mondo. L’ornamento permette di dinamizzare e variare ciò a cui si riferisce. L’ornamento increspa, piega, modula: come in un canto dispiegato, o in una melodia cantabile suonata da uno strumento ad arco, la linea melodica principale procede tesa verso il suo compimento, ma al suo interno traccia inflessioni, microdinamiche, che portano e sostengono la linea vocale fino al compiersi della sua frase, del suo canto.
Abbiamo scelto due brevi scritti condividendoli con i relatori per avviare con loro una riflessione comune: Giovanni Piana su Il cromatismo in musica ed Ernst Bloch Iconoclastia e ornamento, su cui dirà due parole Elisa. Giovanni Piana introduce il legame tra cromatismo in musica e ornamento sulla base della idea che in essi si attua un passaggio fenomenologico decisivo: un fluido transitare dal discreto al continuo, articolando struttura e variazione, suono come oggetto e suono come flusso. Tanto il cromatismo, nel passare da una nota all’altra di un intervallo sonoro attraverso semitoni, quanto l’ornamentazione, sia pure nella varietà di tipologie, possono fenomenologicamente segnare il fluidificarsi di intervalli sonori discreti.
Elisa Bacchi. Come accennato da Amalia: l’ornamento fa problema e va di pari passo con il tentativo di tenerlo a bada. Può dirsi il problema originario che intreccia filosofia e retorica. Fin dalla condanna platonica, il sofista è colui che occulta il vero dietro un puro formalismo fatto di figure di parola e figure di suono. Lo stesso problema si rovescia sull’arte in cui la concezione platonica di skiagraphìa (quella tecnica della proiezione dell’ombra che Platone doveva aver visto praticare nelle botteghe dei pittori incaricati di dipingere manufatti in prospettiva, forse i frontoni di templi e fondali teatrali ) ha dimensione puramente illusoria. E’ il tracciare il contorno dell’ombra che per Plinio sta alle origini dell’arte pittorica stessa.
“Piena d’inganno è la ricerca condotta tramite gli occhi, d’inganno quella condotta con le orecchie e cogli altri sensi” (Fedone)
L’ornamento si appella proprio ai sensi, alla dimensione dinamica di una corporeità insieme costituita e costituente e con il concrescere della dimensione biologica ha una relazione fondamentale. Esso è il fiore in cui si trasforma Narciso, secondo Alberti, che appare come il principio stesso della metamorfosi delle forme.
E’ così che l’ornatus retorico si trasforma nelle vesti in movimento della pittura quattrocentesca, a partire dalle quali Aby Warburg rivoluzionava il concetto ottocentesco di storia dell’arte, sottraendola all’ambito della pura contemplazione, e conducendola verso una comprensione della forma come dimensione dinamica, di una temporalità non lineare, che è fatta di apparizioni, latenze e ripresentazioni, sopravvivenze: il fiore è ancora una volta il frutto di un processo genetico sotterraneo che ha a che fare con l’intrico delle radici, con il loro sviluppo in cui la struttura si dà solo in quanto sovrabbondanza della germinazione.
In questo senso l’ornamento non è riducibile nè alla concezione che lo vede come puro orpello, come aggiunta inessenziale che turba il senso, impedendo il percorso verso la sostanzialità del vero, nè come parte indispensabile di una struttura fissata una volta per tutte, in rapporti statici, predeterminati ed estrinseci, nè come pura funzionalità per cui la forma deve essere sempre espressione di un obiettivo a cui tendere, ancora una volta alla forma stessa esterno. L’ornamento rifugge sia alla sua definizione come puro artificio, tecnicizzato e macchinizzato, sia a quella che lo vorrebbe indice di una naturalità fissata in legge, una natura naturata: esso segue piuttosto l’andamento di una natura naturans, di una morfogenesi che è sempre in relazione.
Potremmo arrivare a dire che l’ornamento coincide con le strutture profonde della storia, con il suo stratificarsi. Se per Benjamin esso deve essere eliminato in architettura e sostituito con il vetro che rifiuta ogni aura e che si presenta come materiale sul quale nessuna traccia può essere trattenuta, rappresentando una nuova barbarie “buona” rivolta verso il futuro, esso resta comunque il luogo in cui vedere riflessa la dinamica dei processi produttivi, del capitale nelle sue contraddizioni: quella fantasmagoria che è allo stesso tempo illusione e struttura. Per Bloch invece, dal quale testo ha preso avvio almeno una parte della nostra riflessione, l’ornamento, associato al frammento, al non finito, al sospeso, è il luogo di una scintilla, di un tempo che non si è ancora compiuto. Esso porta ad espressione le vie interrotte della storia, i possibili non realizzati, E’ insomma luogo in cui prende forma l’orientamento: non più solo labirinto, esso segna la possibile via d’uscita.
Sono seguiti gli interventi dei relatori e le vivaci discussioni degli argomenti da loro presentati. Riportiamo qui una sintesi dei passaggi salienti.
Improvvisazione e ornamento (Alessandro Bertinetto)
I concetti di “improvvisazione” e “ornamento” sembrano condividere un destino comune nella cultura occidentale. Per un verso indicano qualcosa di negativo, inadeguato, superfluo, laterale rispetto al carattere strutturale di un’opera – con tutte le conseguenze che ciò comporta all’altezza dell’ontologia dell’arte; per altro verso paiono indicare il paradigma stesso della dimensione estetica dell’esperienza, mettendo in moto, e rimettendo in discussione, la specificità della normatività artistica – connessa a una nozione di adeguatezza veicolata anche dalla nozione retorica di conveniens (gr. prepon).
La lezione ha articolato la connessione tra estetica dell’improvvisazione ed estetica dell’ornamento anche alla luce della categoria di espressività, giungendo a illuminare entrambi i concetti, ornamento e improvvisazione, sulla base di tre aspetti comuni: l’idea retorica di essere appropriato a qualcosa (conveniens), che circoscrive una relazionalità dinamica attenta al momento presente e sempre di nuovo rinnovantesi; l’idea di libertà, ripreso dal kantiano liberto gioco di facoltà, che tanto l’ornamento quanto l’improvvisazione comportano nel loro rifuggire dalla rigida concettualità conoscitiva; infine una idea di normatività che non si fissa dogmaticamente, ma si ridefinisce nel flusso dell’ornamentare e dell’improvvisare, secondo un processo temporale ritmato e regolato che rimane aperto al formarsi sempre di nuovo.
Dal colore alla struttura. Dialettiche configurabili e tensioni dinamiche nel suono (Carlo Serra)
Riflettere fenomenologicamente sul tema dell’ornamento, a partire dal testo di Giovanni Piana, è interrogarsi sulla modificazione della intensità della materia, come tema fenomenologico fondamentale. La modificazione della intensità della materia sonora si ha già nel momento in cui un corpo diviene corpo sonoro, quando cioè, in seguito a un pizzico o a una percussione, si producono le vibrazioni del suono. Il manifestarsi della modificazione della intensità della materia pone il problema teorico fondamentale intorno a cui si possono svolgere riflessioni fenomenologiche sull’ornamento e sul cromatismo, ossia il passaggio dall’oggetto al flusso sonoro: la vibrazione della corda è già sul lato del flusso, la materia sonora è quindi già nel suo sorgere flusso spazio-temporale. Ma cosa significa ornamento in musica se il suono nasce come flusso? Lo testimoniano esempi di culture a noi meno vicine, come quelle passate, nel medioevo, i cui neumi, come il quilisma, tracciavano graficamente insiemi di ornamenti che portavano a fluidificare una struttura melodica prefissata; oppure come quelle orientali, dove i microintervalli rendono evidente come la struttura stessa non può sussistere senza i suoi ornamenti, in cui si segnano passaggi in un continuo attraverso microvariazioni.
Allora non si può parlare di ornamento nei termini di un’aggiunta a qualcosa di strutturale: l’ornamento invece mette in gioco un altro piano del discorso, che va oltre alla distinzione continuo-discreto. L’ornamento chiama in causa quindi, dall’interno, nel muoversi del flusso sonoro, i modi di aggregazione di una stessa struttura, che conferisce fluidità a rapporti fissati, dal quilisma medievale, alle sonate di Beethoven, fino ad arrivare alle composizioni dodecafoniche.
Funzione dell’ornamento (Elio Franzini)
La difficoltà di definire cosa sia strutturalmente l’ornamento, cercando la sua dimensione gnoseologica fondativa, apre il problema di confrontarsi con un oggetto che fa della variazione un’essenza piuttosto che un metodo. L’ornamento allora, se non ha un “in sé”, parrebbe mettere a fuoco una condizione contingente del bello, un suo essere in divenire inscindibile dalla sua funzione, cioè dalla sua storia. In tale prospettiva la domanda “cos’è l’ornamento?”, rivolta all’indagine intorno alla sua struttura di senso, sembra scivolare sul piano psicologico di un’indagine che si interroga sul “perché l’ornamento?”, mettendo a fuoco la sua natura di strumento di riconoscimento sociale che ha ragioni culturali di volta in volta differenti.
L’ornamento avrebbe in questo senso una dimensione additiva retoricamente rivolta al gusto, la quale può finire per configurarsi come contraffazione e simulacro, lungo una linea che, associando Barocco a post-moderno, gioca sul configurarsi dell’ornamento come base per un’ontologia senza ontologia. Se, secondo il parere di Adolf Loos, l’ornamento può definirsi come delitto, ciò può avvenire nella misura in cui la civiltà contemporanea non ha più con esso alcun rapporto organico, rivelando dunque la sua natura di impostura che sostituisce alla limpidezza della ragione strutturata una funzione puramente persuasiva.
L’ornamento come forma di vita. La borghese ansia della fine dal Biedermeier a Neri Oxman (Federico Vercellone)
L’Ottocento tende a riempire ogni spazio di oggetti. Ogni angolo della casa borghese è pieno di mobili, ninnoli e dipinti. L’ansia della morte viene così allontanata da un troppo pieno che dovrebbe creare calore ma in realtà genera (anche) soffocamento.
Il Biedermeier, lo stile che attraversa la cultura figurativa tedesca e austriaca nei primi decenni dell’Ottocento, evoca la quieta normalità della vita borghese e fu perciò inteso anche come lo stile della Restaurazione. In realtà tuttavia esso non si richiama solo ai valori e alle consuetudini borghesi ma si impegna anche a far sì che la forma di esistenza che esso evoca possa davvero realizzarsi. Pertanto dota le abitazioni di finestre ampie e luminose, di mobili funzionali che rendano agevole la vita quotidiana. E’ uno stile ispirato da un grande gusto che mira non solo all’aneddoto e al ninnolo ma anche a una produzione e a uno stile elegante, funzionale e sobrio. Esso per certi aspetti sembra anticipare il Bauhaus. In questo modo l’inclinazione claustrofilica e l’ansia claustrofobica del diciannovesimo secolo viene combattuta ricorrendo a mezzi artistici che è la stessa mentalità dell’epoca a fornire. Paradossalmente ma non troppo anche il design quasi fantascientifico di Neri Oxmann ci mette dinanzi alla necessità di pensare oltre la fine, in questo caso oltre l’Antropocene, oltre quell’implosione del mondo che si avvicina come un futuro ineluttabile che ci siamo creati con le nostre mani e che nutre le distopie sempre più numerose del mondo contemporaneo.
Dalla borghese ansia della fine, a forme oltre la fine, cambia così l’ornamento stesso, pensato come particolare per rendere abitabile un interno, lo spazio della casa, per arrivare ad essere inteso come un elemento che si fa quasi membrana organica. Una forma che si crea la propria funzione, capace di ripensare oggi l’idea di forma vivente di goethiana memoria.